martedì 7 ottobre 2008

Noir d'altri tempi

Me ne stavo lì, appoggiata a quello sgabello di quel vicolo semibuio, bevendo dal mio bicchiere in beata solitudine.
Davanti a me uomini, ragazzi, su ambo i lati della stradina desolata che proprio, non aveva niente da dire.
Ognuno impregnava la loro attesa con gesti insulsi, studiati persino, come a prepararsi una parte da recitare, un personaggio che volevano proprio ostentare.
Ad un tratto la porta sul fondo si apre scorrendo, ed esce lei, bionda, vestita di nero, con un soprabito di pelle rossa cavalca la strada con aria sicura, di chi ignora completamente il vagare composto che le sta intorno.
Gli uomini allora le lanciano apprezzamenti, l’uomo elegante le si avvicina, sfoggia un sorriso da spot pubblicitario, cerca di arruffianarsela, ma lei lo guarda sorridendo cercando di dargliela a bere, e quando lo liquida fa una smorfia di disprezzo che solo io, e gli altri pretendenti del momento riusciamo a notare. E l’uomo elegante non se ne va. Rimane nella sua anonimità.
C’è un gruppo di ragazzi che la squadra fischiandole parole poco eleganti, ma che vorrebbero colpire nel segno. Tutti si girano a guardarla.
Lei passa oltre, senza dare il minimo riguardo.

E' il turno dell’uomo vestito da bulletto, tipico personaggio costruito intorno a se, fuma la sua sigaretta con sufficienza, e con la sua aria ridicolamente sufficiente le alza un sopracciglio in cenno di saluto. Diversamente dagli altri non si scompone per avvicinarsi, ma sta in disparte e aspetta sicuro che lei giunga da lui. Penso che si conoscano.

Ma ecco l’uomo bellissimo, che intercetta il passo della diva di ghiaccio e si interpone tra lei e il menefreghista. Le offre un bacio di dama incartato in una pallida carta, fa il galante, ma lei si gira e sembra che solo io riesca ad udire le parole che mi bisbiglia guardandomi negli occhi: “ non temere, non cado. La sua bellezza stordisce, le sue parole sono meravigliose, ma sono il veicolo che usa per far aprire le gambe a qualsiasi donna. Ognuna è una scommessa.”
Lei si gira, ricambia il sorriso all’uomo dagli occhi di ghiaccio, lo guarda attratta… ammicca, gli sorride, poi cede il bacio di dama declinando gentilmente l’invito appena ricevuto, e augurandogli con una dolcezza disarmante di ingozzarsi con il suo patetico bacio di dama.

Ecco che giunge dall’apparente gradasso della situazione, il sicuro.. lei le si avvicina, lui la bacia con abitudine, lui le sussurra un ciao disinteressato dall’angolo della bocca che sputa il fumo della sua sigaretta. Alza un sopracciglio, accenna uno sbadiglio, e si gira per dirigersi con lei verso l’auto.
Lei però non muove un capello, e lo guarda negli occhi.
I suoi occhi sono solo buchi neri, che nascondono tutto.
Fari puntati sulla sua anima.

Bevo a grandi sorsate ringraziando il fato per aver spezzato la noia con una scenetta del genere, e mi accendo una sigaretta.
Lui si gira, la guarda con aria sollecita, e fa un cenno muto verso la macchina come chi impaziente attende il prossimo capitolo da scrivere. Lei lo fissa, lo accarezza ma con il fuoco dei suoi occhi brucia: “ mi spiace, non mi basta. Cerco l’eccellenza, di meno non mi può più bastare. Non mi sfami, è inutile fingere.”
Lui la guarda con un ghigno di chi deve reagire con virilità alla verità sparata alla velocità del piombo. Butta la sigaretta finita a due centimetri da lei, non si scompone nemmeno minimamente. Si gira, e va verso la macchina. Degnandola solo di un’occhiata furtiva quando apre la portiera.

Brava amica, penso ingurgitando alcol.
A quel punto l'uomo elegante e piuttosto insignificante fa per raggiungerla da dietro, sfregando le mani come un avvoltoio sulla carne già masticata. Piovono parole dolci, piovono carezze, poi lei si scansa abbaiando "Aria...non le aprirò nemmeno per te stasera. Né mai"

Poi lei viene dritta verso me, cavalcando l’onda con il suo tacco vertiginoso, che conficca nel pavimento con la forza cieca di una belva appena sfamata della sua preda.
Mi si avvicina e si ferma al mio tavolino.
Guarda il bicchiere.
Io la guardo e guardo il mio bicchiere, come un tacito invito a servirsene pure senza problemi.
Fa un sorso, tenendo puntati i suoi occhi di tenebra sui miei. Appoggia con un tonfo il bicchiere e dice: “tu sai cos’ho dentro, vero?”

La guardo con sicurezza, annuisco socchiudendo gli occhi. A quel punto sposta un lembo del suo soprabito di pelle rossa, unico colore in questo noir d’altri tempi, e mostra un tatuaggio che cita “Iena Ridens”.
Accenno un mezzo sorriso senza dischiudere le labbra, e bevendo dall’ormai nostro bicchiere dico con sufficienza “tenebra, o casomai pantera sarebbe stato più pertinente”. Si interpone tra me e il bicchiere ringhiando: “Non è ciò che sei che ti devi ricordare, ma chi più spesso dovresti imparare ad essere”.

Si gira, solleva i capelli e scopre un minuscolo tatuaggio sulla sua pelle candida HKY. A quel punto sgrano gli occhi e lei dice “riconosci?” Scopro la mia nuca, e le mostro la sigla discreta ed indelebile. E’ il codice fiscale di chi riesce a vivere come noi, rispondo. Lei mi guarda e chiede “sai cos’ho dentro, vero?”
La guardo e le rispondo di si.

Ci contendiamo il bicchiere per un sorso veloce di magico fluido, ma lei mi blocca la mano, mi solleva dallo sgabello tirandomi per il collo, mi guarda negli occhi e mi bacia intensamente.
Ci fissiamo a lungo finché le rispondo: “il Fuoco”.

E lei continuando per la sua falcata verso chissà dove si gira, mi sorride urlando…"e tu con me".
Mi alzo stordita, non capisco cosa voglia dire.
Bevo l’ultimo sorso, svuoto il bicchiere scossa da una forza ignota ed una rabbia recondita, mi dico che il veicolo comunemente usato per ammagliare ha davvero un solo scopo.
Lascio i soldi sul tavolo, mi allontano per le vie di questo patetico vicolo noir, degli uomini non è rimasto che il loro profumo di insicurezza e indegnità.
Mi dirigo alla mia macchina con aria di chi conosce il mondo, ed è fiero di conoscere se stesso.
Mi specchio nella portiera e sobbalzo.
Sono lei.

Anya

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